L’acciaieria Dalmine era invece il regno degli uomini. Fu fondata lì per la conformazione pianeggiante del terreno, il prezzo di vendita vantaggioso, l’ampia disponibilità di acqua e, soprattutto, il grande bacino di manodopera a basso costo. Gli uomini arrivavano da tutti i paesi del circondario, attirati dalla promessa di un lavoro sicuro. Si specializzavano nella produzione di tubi d’acciaio e si adattavano alla tecnologia tedesca della Mannesmann. Alla Dalmine trovavano non solo un’occupazione, ma anche una comunità che li assisteva. Molti di loro avevano fatto proprio il detto secondo il quale chi entrava alla Dalmine aveva “Ol pà in vèta”, il pane per tutta la vita. Si trattava infatti non solo di avere un lavoro sicuro, ma anche diversi servizi di carattere socio-assistenziale e di svago per i figli.

La filanda della Rasica era il regno delle donne. Qui entravano da bambine e uscivano per sposarsi o diventare madri. Le mani delle più piccole erano adatte a sciogliere il filo serico dai bozzoli immersi nelle bacinelle d’acqua tiepida. Le ragazze invece seguivano le altre fasi del lavoro. Gli uomini si occupavano della manutenzione delle macchine. Lo stabilimento si raggiungeva a piedi, percorrendo la vecchia strada per il Giardino e il Pascolo, che d’inverno era impraticabile per neve e ghiaccio. Gli orari di lavoro erano pesanti e per questo, nel 1901 e nel 1915, arrivarono anche i primi scioperi.

In certi momenti il paese diventava un teatro. Uno spazio comunitario dove si metteva in scena la fede. Ogni mese, ogni stagione, ogni festa aveva la sua rappresentazione sacra. Le processioni erano le più belle. Si usciva dalla chiesa e si camminava per le strade, seguendo il ritmo delle preghiere e dei canti. Si andava a Saore, al Crocione, al Cam- pellino o al cimitero a chiedere a Dio di mandare la pioggia o il sole per le coltivazioni. La terza domenica si teneva la processione del Santissimo Sacramento. La quarta domenica e il primo novembre si andava al cimitero con i fiori e le lacrime, a ricordare i morti. Il lunedì di Pasqua si faceva la processione di chiusura delle Quarant’ore. La processione del Corpus Domini percorreva tutte le strade principali del paese, mentre quella per la festa patronale si teneva la sera della vigilia. Si raggiungeva il santuario portando la statua di San Donato, il santo del paese. Tutti partecipavano, tutti si sentivano parte di una comunità. C’erano le donne e gli uomini, le associazioni di ragazzi e le paggette del Santissimo Sacramento e i fanciulli cattolici con le loro divise. C’erano i disciplini, o gesuplì, con le loro mantelline rosse e i camici bianchi, che portavano gli stendardi. Tutti, a loro modo, esprimevano la propria fede.

Un tempo le persone si spostavano a piedi. Non importava quanto fosse lontana la meta, camminavano. Camminavano per andare a trovare gli amici. Camminavano per andare in chiesa o per accompagnare le bare al cimitero. Invece, la frutta, la verdura, il latte venivano trasportati con carretti trainati da animali. Animali che lasciavano escrementi sulle strade e sulle piazze, facile ricettacolo di mosche e cattivi odori. Non esistevano cartelli né segnaletica stradale. Per orientarsi si prendevano a riferimento i campanili. Poi apparve la bicicletta. Era veloce e diminuiva le distanze: una vera rivoluzione. Ma non fu l’unica. Alla fine dell’Ottocento arrivarono i primi mezzi collettivi di trasporto: le linee ferroviarie e tramviarie. Dal 1890 al 1953, per andare a Bergamo o verso Trezzo sull’Adda e Milano, da Osio Sotto si prendeva il Gamba de legn, così lo chiamavano i locali. Era un tram, a carbone e vapore, che portava passeggeri e merci. Rappresentava il meglio della tecnologia dei trasporti, eppure ebbe vita breve. Con le guerre e il progresso, il servizio fu sostituito dalle autocorriere.

Dalla prima metà del Novecento, i conflitti globali si insinuarono tragicamente nella storia di Osio Sotto. Tutto iniziò nel 1911 con la guerra di Libia. Una melodia intitolata “Tripoli, bel suol d’amore”, ispirò il nome di un’osteria, aperta nel 1897, sulla strada per il Giardino e la Rasica, che poi divenne famosa per la sua sala da ballo. Durante la Prima Guerra Mondiale, il sacrificio dei giovani di Osio raggiunse il suo apice tra le trincee del Carso, sul Piave e sul Tagliamento. In quel periodo, il Comitato di Mobilitazione Civile del paese coordinava gli sforzi per sostenere i soldati al fronte. Anche i bambini dell’asilo, guidati dal maestro Luigi Quadri, organizzavano spettacoli per raccogliere fondi, mentre le donne sferruzzavano per fornire indumenti di lana ai soldati. Le cartoline e le lettere che arrivavano dal fronte raccontavano di vite spezzate e di mani poco avvezze alla penna.

Sotto il regime fascista, la vita degli italiani fu sottoposta a una trasformazione in senso “totalitario”, che mirava a coinvolgere tutti i cittadini nelle sezioni e nelle attività del Partito Nazionale Fascista (PNF). Il PNF aveva creato delle organizzazioni per ogni categoria sociale: le donne si iscrivevano al Fascio Femminile e alle piccole italiane, i lavoratori al Dopolavoro, i bambini e i ragazzi in reparti premilitari come i figli della lupa e i balilla. Insieme partecipavano alle cerimonie pubbliche indette dal regime.Per ospitare le attività del partito, il fascismo aveva costruito in ogni città e in ogni paese delle strutture chiamate Casa del Fascio o Casa del Balilla. A Osio Sotto si trovava vicino a cascina Baia. Era stata completata nel 1928 e si raggiungeva dalla fermata del tram sulla provinciale tramite la nuova via XXIII Marzo. La Casa del Fascio aveva un ampio salone utilizzato per spettacoli teatrali e cinematografici, adunanze, mensa, palestra, sala da ballo e ricreazione. Nel 1935 era stata aggiunto un campo sportivo, dove giocava la squadra locale della Voluntas. D’estate, la Casa del Fascio ospitava anche la colonia elioterapica, detta popolarmente bagni di sole. Si trattava di una delle iniziative sociali volute dal regime per offrire ai bambini qualche settimana all’aria aperta, facendo attività fisica e mangiando cibi sani.

La Seconda Guerra Mondiale spedì i giovani di Osio in luoghi ancora più lontani, tra cui la Grecia, l’Albania, l’Africa e persino tra le distese della steppa nella disastrosa campagna di Russia. Dal teatro di guerra inviavano a casa lettere rassicuranti, smentite da fotografie che li mostravano con sorrisi forzati e occhi stanchi e smarriti. In quegli anni, il Paese sperimentò l’autarchia alimentare, con il razionamento dei generi alimentari. Vennero introdotte le “carte annonarie” di diverso colore per i vari generi alimentari, tra cui pane, riso, pasta, zucchero, sapone e scampoli di stoffa, e dedicate alle categorie di cittadini: lavoratori, bambini, giovani e gestanti. Per sostenere lo sforzo bellico, vennero requisiti manufatti di metallo, tra cui ben 5936 kg di rame e 4487 kg di ferro. Nell’ottobre del 1942 furono espropriate perfino le tre campane della chiesa parrocchiale.

Dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943 e l’istituzione della Repubblica Sociale Italiana lo stabilimento siderurgico di Dalmine si trovava sotto il controllo tedesco: produceva proiettili per le truppe del Reich ed era perciò un obiettivo strategico degli alleati. Il 6 luglio 1944, verso le 11 del mattino, due stormi di “fortezze volanti” attaccarono l’impianto e sganciarono 78 tonnellate di bombe. L’ufficio germanico di Milano, per non interrompere il lavoro, non fece suonare il segnale di sgombero. In quel momento erano presenti circa 4.000 operai. Quando il fumo si diradò e il rumore si placò, il bilancio fu sconvolgente: le vittime erano 257, i feriti oltre 800, cui si aggiunsero 21 morti tra la popolazione civile. A Osio Sotto, furono 17 le vite spezzate. Le loro famiglie riportarono a casa i loro cari per l’ultimo saluto. Le salme furono raccolte nella cappella dell’Addolorata, adibita a camera ardente. Domenica 9 luglio, nella chiesa parrocchiale, ebbe luogo l’ufficio funebre e nel pomeriggio la sepoltura.

La Resistenza a Osio iniziò con la manifestazione spontanea dell’8 settembre 1943. Dopo l’annuncio dell’armistizio con gli Alleati, i bergamaschi cominciarono ad affluire in massa davanti alla torre dei Caduti di Bergamo. Alcuni venivano anche da Osio. Stava per nascere la Liberazione dal regime fascista.Dal giorno seguente i tedeschi occuparono la città. In una settimana l’intera provincia fu vittima dell’invasione nazista. Fu l’inizio della fase più tragica della guerra. I partigiani combattenti di Osio si organizzarono in più “Brigate”, a seconda dell’appartenenza politica o territoriale. Dodici osiensi si unirono alla “171^ Brigata Garibaldi Alteni”, formazione di ispirazione comunista e socialista, due alla “Brigata Pontida” di orientamento cattolico. I “Patrioti” erano un’altra organizzazione ed era composta da coloro che, pur non essendo partigiani, collaboravano alla lotta di Liberazione sia militando nelle formazioni partigiane, sia prestando aiuto esterno alle formazioni partigiane. Alla “Brigata Pontida” aderirono diciassette osiensi, uno alla “Brigata del Popolo di Albenza”, uno alla “Divisione Masia di Giustizia e Libertà”. Tutte queste formazioni organizzavano sabotaggi e trasportavano comunicazioni strategiche, oltre a combattere contro le truppe tedesche. Il 26 aprile 1945 e il 28 aprile 1945 morirono i partigiani osiensi Giovanni Mangili e Anselmo Locatelli.Per più approfondite e circostanziate informazioni sulla Resistenza a Osio Sotto si rimanda al sito www.ipensieridavedere.it edito dall’Associazione Itervitae.

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